giovedì 30 agosto 2012

IL FANTASMA DI ALEXANDER WOLF, 1947 (Gajto Gazdanov)



Quando ho preso questo libro avevo ancora la mia attività da libraia. Qualcosa deve avermi incuriosito, senza sapere il perchè. Poco importa. Questo sconosciuto autore russo meritava più successo, niente di quello che scrive ha da invidiare ai più grandi della letteratura russa. Forse solo un po' più di frontatezza. Quello che colpisce non è sicuramente la trama:  si intuisce che ama le digressioni e mentre vuoi capire l'enigma di fondo, o forse lo scioglimento della trama (in senso non figurativo stavolta), ti accorgi che parla di tutt'altro, ma qui è stato abile, la trama c'è e se è di un certo interesse, non è questo che colpisce, almeno non è queto il motivo che ti trascina fino alla fine. E' la sua scrittura. Ha qualcosa di magnetico, non riesci proprio a staccare, pur parlando di pugilato o di articoli di giornale da scrivere. Qui sta la sua grandezza, qui si intuisce che non è poi così importante di dire qualcosa (siamo già nel pieno periodo delle sperimentazioni letterarie, tra Robbe-Grillet e Michel Butor e non a caso, siamo in Francia, visto che l'autore era trapiantato a Parigi quando scriveva) ma il modo in cui lo fa. Non deve essere un caso, l'uso la prima persona, come una confessione ineluttabile che prima o poi avrebbe fatto alla sua anima (a noi), dominante abbastanza da farci entrare nelle sue riflessioni più belle e sentite (anche sofferente, sia chiaro). Ad ogni modo il cerchio si chiude, comincia con una morte, apparente, per trascinarsi fino alla fine finchè questa morte non si realizza. Però va letto, così niente potrebbe rendere un libro semplice ma bello come questo. Fa venire voglia di scrivere. E di scrittori infatti si parla, sia per Wolf sia per la voce  narrante.

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