venerdì 18 gennaio 2008

ORE

Succedono poche cose in un posto così. Le ore passano, secondo la loro legge interna. Quelle del mattino sono piuttosto veloci, anche perchè durano 50 minuti e tra cercare le classi, aspettare che metà degli studenti torni, riprendere il filo del discorso, decidere se interrogare per zittirli tutti, non rimane molto per fermarsi a pensare. All'uscita faccio un giro minimo per gli acquisti essenziali (in altri termini per non morire di fame) e torno a casa. Se sono fortunata non incontro il pazzo del paese (che non poteva che abitare nei dintorni e) che persiste con la sua domanda di matrimonio, ad ogni incontro, mio o di altre, e che lascio cadere nel vuoto. Alle volte non ho pazienza. Me ne rendo conto. Metto in ordine, quello che ho lasciato le prime ore, quello che ho appena portato dentro. Il fuoco, l'acqua, il cibo. I vestiti, l'acqua. Soprattutto calzini da stendere. Ed il vento. Preparo l'indispensabile per il giorno dopo, ma quando è venerdì, penso già a lunedì. Il pomeriggio, io parto abbastanza fiduciosa, lo affronto con naturalezza, poi verso il buio, quando il da fare essenziale è finito, resta il silenzio interrotto solo dallo scorrere delle ore. Le campane della chiesa vicina, ma soprattutto il fischio del treno, il passaggio a livello che si chiude, si riapre velocemente e dopo dieci minuti si richiude: il treno per Siena, lo vedo andare via dalla finestra, rimango in silenzio ad osservare, come i bambini, con gli occhi spalancati. "Stai andando via, portami con te". Il treno per Firenze. Lo sguardo si fa triste, il pensiero lontano. Un altro enigma irrivolto, un altro dolore incerto. Il fischio, il passaggio a livello si riapre. Passerà, come il treno, anche questo pensiero. Dimentico tutto e ricomincio a scrivere, rialzerò lo sguardo solo al prossimo fischio, alla prossima ora.

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