domenica 1 luglio 2007

EDWARD MANI DI FORBICE di TIM BURTON

Ecco un altro film registrato con il mio primo ( e ultimo) registratore di cassette VHS e che ho avuto occasione di rivedere. Va premesso che l’ho rivisto sempre con la cugina quindicenne e che non ritiene che questo film faccia parte del “repertorio dark”. Le è sembrata solo una favola. Io non ne sarei tanto sicura. Comunque le è piaciuto molto, più di Dracula.

Faccio una premessa per dire che io sono tra i fan di Tim Burton. Quasi tutto quello che ho visto (quindi non ho visto tutto) mi ha colpito particolarmente e se posso dirlo proprio per l’ironia con cui tratta i temi tanto cari ai darkettoni.
Forse Edward è stato il primo film che ho visto di lui, il primo film con protagonista Johnny Depp (che grazie a dio non è solo un bel tipo, ma considero uno degli attori più bravi e più personali in circolazione) e di Winona Ryder (per la seconda volta in questo blog, e che solo per questo dimostra la mia ammirazione).

Non ho intenzione di dilungarmi molto, ma di consigliare questo film a chi non l’avesse mai visto. Esattamente come ho fatto con mia cugina. Certo, si tratta di una favola, una favola dark (lo ripeto) in cui uno scienziato, (come quello nei fumetti di fantascienza anni 50 e 60) costruisce un essere meccanico. Per una questione di “tempi” non riesce a finirlo o meglio a sostituirgli le forbici che ha al posto delle mani. E allora?

Tutta la prima parte del film si concentra sulle peculiarità di questo individuo, in cui questa sua diversità diventa un punto di forza. Del resto si tratta di una novità e come tutte le novità fanno molto rumore e suscitano molta curiosità. Da un certo punto in poi il film cade in un vortice di tristezza (almeno per me) in cui il protagonista deve vedersela con la stupidità umana e la sua unica reazione è di dare credito a questa stupidità.

Ci sono moltissime situazioni esilaranti, soprattutto quelle con Joyce, e ci sono scene in cui capiamo la difficoltà di essere così diverso di Edward. E’ su quelle che vorrei spendere mille parole. Edward ha un cuore d’oro (magari meccanico, ma d’oro) ed è la sua bellezza interiore che prevale su tutto il resto e a capirla è l’intera “famiglia Avon”. L’apparenza, la diversità. Ancora una volta ci soffermiamo sulla forma delle cose non quello che valgano davvero. Ed Edward è spaventato da se stesso, dagli uomini, dal suo essere diverso e dalla sua capacità di relazionarsi socialmente, vorrebbe, ma sa che non può. E' il non potere che fa la differenza. Quando Kim, che è innamorata di lui (forse per una volta non è così scontato e prevedibile) gli chiede di abbracciarla, lui risponde “non posso”. E’ cosciente di poter ferire ed essere pericoloso, ma è anche il suo limite umano che glielo impedisce. Meno male che c’è lei a dare vita ad uno degli abbracci più belli della storia del cinema.

Quando il poliziotto vuole arrestarlo e gli intima di buttare le armi, lui non può buttarle, perché quelle cose mostruose sono le sue mani. Paga anche per questo, perché quelle sono le sue mani, anche se non le ha mai scelte. Sicuramente avrebbe voluto essere come gli altri, no? Lo stesso poliziotto a fine episodio gli intimerà di fuggire, per salvarsi. Adesso che l’ho rivisto mi sono accorta che è nero, di pelle voglio dire. Non a caso, di sicuro.

Io riesco solo a pensare di come Edward si nasconde al buio, di come quelle mani gli pesano su tutto il corpo, e il corpo è curvo, come di chi si vuole nascondere e cammina piano per non far rumore. Di quelle mani che sono un’enorme risorsa, ma anche un grosso ostacolo, prima ancora sociale. C’è stato sempre qualcosa di mio in quel personaggio, non solo nell’evidente pallore. Mi trascino anch’io a fatica qualcosa che è allo stesso tempo una risorsa e un vincolo.

E penso ad una poesia di Baudelaire: l’albatros ha lunge ali, troppo grandi per permettere di camminare sulla prua di una nave, ma quelle stesse gli servono per spiccare il volo e dominare l’aria. Il suo habitat non è la terra ferma, ma il cielo. Forse per questo Edward decide di tornare nel castello dove ha sempre vissuto, adesso carico di ricordi che ha potuto vivere.

La neve.
E’ come il mare. Fa parte dei posti in cui vivi e che ti porti dietro. Quando la rivedi in qualunque parte del mondo ti fa sentire a casa.

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