lunedì 19 ottobre 2009

Finalmente anche io vidi PERSEPOLIS

E' innegabile che storia come questa e come altre del genere autobiografico, vittima della guerra e dello strapotere di pochi, faccia più presa di qualunque altra cosa. Però è anche il modo in cui viene raccontato, il passaggio del perenne bianco e nero ai colori che lasciano presagire speranza per il futuro, a stilizzate immagine di dolore, che hanno più dolore queste che una scena nuda e cruda della realtà. E le lacrime, il distacco dalla terra natia, la perdita delle persone che ci vivono attorno, sono temi cari ed eterni da rendere poesia o letteratura un fumetto iraniano raccontato con immagini forti e ovattate allo stesso tempo. La pagina del disegno. Quante cose non sappiamo? Tante, troppe. Per pochi che comandano paga un popolo intero per la nostra ostilità, ma questo errore lo facciamo per tutti i popoli e alcuni popoli lo fanno nei nostri confronti, anche all'interno della stessa nazione. Non capire questo è non aver capito nulla. Il più forte non esiste e non esiste nemmeno il più debole, siamo tutti vittima di qualcosa, allo stesso modo, in egual misura. Ecco perchè il dolore di nessuno dovrebbe lasciarci indifferenti.

A parte ciò credo che Persepolis abbia qualcosa in più perchè è della condizione della donna che si parla, che solo a tratti ci viene rilevato quanto si possa essere crudeli a seguire la Legge, e che bisogna allontare una figlia tanto ribelle se la si vuole ancora viva. C'è ancora tanto da combattere e difendere nel diritto delle donne. Ma c'è anche da salvare il dovere di esserlo completamente, di non sostituire la nostra naturalezza alla perdita della "interezza" così come viene spesso detto a Marjane Satrapi.

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