domenica 22 luglio 2007

THINGS TO COME (1936)

Il titolo in italiano è LA VITA FUTURA.
A tenere legati i decenni che attraversano questo film, le scuse sono poche. La vera protagonista è l’evoluzione (o involuzione a seconda dei casi) storica e umana. La si può dividere in tre parti, e per me la più affascinante è l’ultima, in cui il registra e i suoi compagni di viaggi, si divertono a costruire una Everytown futura. Nonché le prima due parti siano poco interessanti, ma essendo più o meno cose del presente, accertabili, la fantasia vola bassa. Beh, interessante la “sindrome del vagabondo” che dovrebbe ricordare la Peste Nera, ma non vuole farlo e gli aerei della Comunicazione di Cabal che sanno molto di futuro, con gli aviatori - paracadutisti vestiti di nero e in finte tute molto di effetto. Del primo periodo suona terrificante e fatalista, forse un po’ eccessivamente pessimista, la guerra alle porte che sfocia in anni infiniti, e da subito mostra l’inutilità stessa della guerra. E’ un po’ improvvisa e un po’ troppo “di massa”. Se si pensano a certe situazione moderne, ci rendiamo conto di quanto la guerra sia un fattore quotidiano e che tutti quelli che la vivono cercano di sopravvivere nonostante quella, mentre qui c’è una panico di massa, in cui la gente è la vera protagonista, ma non alla stregua di Victor Hugo, poiché questi subiscono e non partecipano.
La guerra ritorna nella seconda parte del film, ma stavolta abbiamo un dittatore, rozzo in parte, maschilista per un altro e pieno di sé. Sicuramente memorabile. Un dittatore, dicevo, che ha le sue manie, un po’ inspiegabili un po’ pazzoidi, che forse al tempo della scrittura del film, potevano essere paradossali, ma che sfortunatamente sono state fin troppo superate dalla realtà che sarebbe di lì a poco arrivata. In questo il film è un precursore attento e spaventato dall’imminente futuro. Qui viene inserita una figura femminile, che ho trovato ben caratterizzata. E’ sempre un po’ contraria al suo uomo, il dittatore, il quale non le dà ascolto (perché è evidente che le donne non sono particolarmente considerate in questa comunità futura, proprio a dimostrazione della degenerazione umana) e per questo risulta molto “caprone” (lo dice lei stessa!). Il dialogo tra lei e Cabal, che parlano in privato, è quanto mai credibile. Lei è davvero una donna, che sfiora i temi cari di Madame Bovary (della noia della comunità e dell’arrivo dello straniero, quindi dell’esigenza della novità senza però davvero cederle il passo!) e la sua condizione di essere la donna del capo, viene vissuta con spiragli di conflitto, è evidentemente attratta da lui, come lo sarebbe ogni donna, ma è chiaro che è un "caprone". Questa sudditanza e questo “ocheggiamento” sono, stavolta, veramente credibili. Del resto questa donna se ha qualcosa da dire la dice senza problemi, e ,nonostante sia abituata a vivere distaccata dalla sua umanità, riesce a guardarsi dentro e ritrovarla se serve.

Parlavamo delle scuse che legano le tre parti. Le prime due sembrano accomunarsi dal “volo” degli aerei, e il dittatore ha proprio il pallino di voler ricostruire gli aerei per continuare una guerra, che qui veramente non ha ragione di esistere (e mostra tutta l’ottusità della predominanza di chi attacca per prima per non essere attaccato!) e sembra che ciò non torni nell’ultima parte del film, in cui oramai siamo nel 2023. Invece c’è. Adesso gli aerei sono sorpassati, ma il desiderio dell’uomo di volare, no. I giovani figli di due importanti personaggi vengono spediti nello spazio per raggiungere la Luna. In realtà guardando il film precedente le ipotesi fantascientiche cadono miseramente o almeno non vengono per nulla spiegate, ma rimane il concetto di fondo: l’uomo vuole volare, anche quando il nipote di Cabal (che sempre Cabal si chiama) ha creato un mondo che sembra perfetto, su tutti i campi, dominati da una tecnocrazia che almeno come ipotesi vorrebbe rendere felici gli uomini. Eppure qualche sovversione c’è, rimane, quasi come un istinto. C’è un tema importante però che si comprende solo quando la tecnologia diventa elemento esasperato. Noi che abbiamo potuto vedere il futuro del regista non ci sentiamo davvero vittima di questa tecnocrazia, anche perché tendiamo a usufruirne al massimo della tecnologia, e più ce n’è e più ne facciamo uso (penso ad esempio come ho recuperato questo film) e ma il regista punta su una cosa importante: perché pensiamo sempre al progresso (tecnologico)? Può davvero portare la felicità? Sicuramente porta a renderci le cose più semplici, questo è vero, ma la felicità evidentemente è un’altra cosa. La felicità è volare. E sembra che i viaggi nello spazio futuri, sono davvero solo l’istinto di volare via lontano dalla terra ferma.
Non voglio analizzare dal punto di vista freudiano perché un uomo (maschio) desideri volare, ma devo ammettere che io personalmente ho sognato solo due volte di volare in vita mia, ma non su un aereo o su una mongolfiera, ma proprio sola con me stessa. Neanche con le ali di Icaro. E’ stata una bella sensazione, bastava provare a fare un salto un po’ più alto e cominciavo a librarmi. Per atterrare sembrava che la forza che mi sospingeva al cielo finisse e che poi potessi scendere appoggiando comodamente i piedi a terra.

In ultimo, ritorna anche il tema del gas, il primo gas uccide, il secondo addormenta. Forse, forse, forse il regista è fiducioso almeno sulla gente futura, che abbiamo davvero compreso quale sia la via da seguire, per vincere le battaglie, senza uccidere nessuno? Se penso che di lì a poco ci sarebbe stata Hiroshima, rimango senza parole alcune.

Dimenticavo: questo film è stato tratto da un’opera di H.G.Wells, cioè the “Scape of Things”.Ho un’antologia di Wells a casa molto interessante, di racconti brevi. Spinta da una considerazione del “Padrone del Vapore” sono andata a leggermi un raccontino intitolato “la farfalla” che non ha aggiunto nulla alle mie “farfalle verdi” e che ho trovato forse anche un po’ noioso e con poca sf.

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