mercoledì 18 luglio 2007

UOMINI SULLA LUNA

(Destination Moon 1950).

La prima cosa che stupisce di questo film è il rigore scientifico, oculatissimo con cui viene descritta la possibilità di raggiungere la Luna attraverso un razzo. Già, perché uno non ci pensa ma nel 1950 nessuno aveva ancora mai “allunato”. Sempre ammesso che qualcuno davvero ci sia riuscito e che quelle famose immagini siano vere. Sta di fatto, vero o falso che sia, le ipotesi del razzo per la luna, di Robert Heilein, l’autore da cui il film è tratto (e che ha collaborato in parte per la stesura della sceneggiatura), vengono seguite di pari passo dagli astronauti americani dieci anni dopo.
Altro punto di forza del film è sicuramente la scenografia che ha dovuto ricostruire il suolo lunare per quel che possibile la più suggestiva possibile. Non dimentichiamo che 50 anni fa una cosa del genere non può che essere stato un dispendio di energie e di lavoro incredibile (se non sbaglio il film vince un oscar proprio in questa sezione). Per il resto la storia scorre bene e il dramma che si vorrebbe compiere viene evitato. Il tutto è davvero super credibile. Fa un certo effetto immaginare che sul razzo, tanto amorevolmente costruito, alla fine ci salgano solo 4 persone e di questo personaggio, il meno simpatico, è il “radiofonista”, che è farcito di battute un po’ vecchiotte davvero. In tanta modernità, in effetti il ruolo da simpaticone proprio non viene bene, come anche il suo tentativo di riscattarsi dalla sua miseria non suona altro che telefonato. Troppo stupido per essere vero. Ammetto che di Heinlein (parlo dei libri) riconosco il difetto principale: non ci sono donne nel film, eccetto una che si limita a sospirare o a sorridere. Accade anche nei libri: le donne sono soltanto una macchietta piuttosto improbabile che fatica ad emergere per le potenzialità espresse. Penso a “Universo” in cui l’importanza delle donne compare solo a fine episodio e si riducono a rappresentare solo l’elemento procreativo dell’universo oppure “ Straniero in Terra Straniera” in cui queste donne libere (troppo, che si comportano adottando i costumi maschili conservando della femminilità originaria solo l’ “ocheggiando vano”), sono ridotte ad essere le uniche a cucinare, come se un uomo, uno qualunque non sappia prepararsi un po’ di pasta per sopravvivere. Non ci voleva una grande scienza ad essere un po’ più lungimiranti sui costumi umani. Il paradosso di questo autore è proprio questo, con tanta lungimiranza scientifica, cade proprio sulla buccia di banana: i comportamenti umani, da non riuscire nemmeno ad ipotizzare un mondo paritario. E non parliamo solo di uomini e donne, le diversità sul nostro pianeta sono ancora tante e le potenzialità ancora quasi per nulla sfruttate. Le differenze sono solo un vantaggio e da questo vantaggio possiamo trarre molti benefici, anche letterari, s’intende.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Boh, a me i personaggi femminili di Stranger in a Strange Land, come quello di "A noi vivi", sono piaciuti un sacco. Idem per "La luna è una severa maestra", in cui tra l'altro viene rivoltato come un calzino il concetto di famiglia "tradizionale".
Pensando che lui era nato nel 1906, le sue idee in fatto di rapporto tra i sessi erano discretamente avanti e "scandalose", per l'epoca in scriveva.
"Universo" fa un po' meno testo perché in fin dei conti era semplice sci-fi avventurosa senza grandi pretese.

Però basarsi solo sul cucinare per dire che Heinlein non sa immaginare un mondo paritario è un po' (tanto) esagerato. Soprattutto visto che, come esprime in "A noi vivi", era uno convinto che ognuno dovesse essere libero di comportarsi nel modo che preferiva, indipentemente anche dal sesso, fino a che le sue azioni non si fossero trasformate i un effettivo danno per qualcuno.
Del resto, mi pare che spesso RAH non usi la fantascienza tanto per fare delle previsioni sul nostro comportamento e sviluppo futuro, quanto piuttosto per esporre le sue teorie su come potrebbe vivere meglio l'uomo se si liberasse da un mucchio delle pastoie culturali in cui si è infilato...

(se ancora non l'hai fatto, leggi "A noi vivi". Come romanzo non è perfetto - né vuole esserlo, in realtà - ma le idee che contiene sono assolutamente affascinanti ed esposte con il consueto acume che caratteriza RAH)

Daniela Zac ha detto...

ciao Alessandro! Non ho ancora letto "A noi vivi" ma è lì che mi attende! Quello che dici è giusto (non si può squalificare un autore di questa portata solo con una considerazione sulla "sua cucina") ma la riflessione si spinge un po' al di là. Che ci sia una libertà acquisista rispetto al suo presente non ci sono dubbi, ma non è esattamente una libertà vista dagli occhi femminili. Si avverte cioè il filtro dello scrittore, che intepreta questa libertà, per esempio sul piano sessuale, mentre secondo me una donna emancipata (o meglio "dematernizzata") ha come primo obiettivo, la carriera. Io qui vedo il limite di Heilein, che però eccelle su tutto il resto ( e non ha certo bisogno del mio giudizio per dimostrarlo a tutti gli altri!). Grazie per il commento!