domenica 8 giugno 2008

IL SURREALE E L'INCONSCIO

Potrei partire da Bréton, dall'unico vero teorico surrealista e mostrare come il surrealismo stesso sia stato un fallimento. Forse però non erano i tempi giusti oppure c'era pochi poeti di successo e molti poeti popolari che ne facevano gran uso (di surrealismo). Surrealismo in senso poetico è accostare immagini, suoni, sensazioni, odori tra loro, diversissimi e connessi tra loro solo tramite l'inconscio del poeta.*E' la scrittura automatica, l'autonomatismo della scrittura. Un vero disastro se non si tiene ben presente che una certa regola bisogna darsela se no si va a ruota libera e sfiderei chiunque ad andare nei miei pensieri così come li partorisco. Io protendo per un surrealismo prosaico (ma sempre tenendo conto che la barriera tra poesia e prosa io l'ho già abbattuta da un pezzo!) e che la prosa ha in sè l'idea di narrazione e che la narrazione implica il racconto di qualcosa, se non di un processo fiabesco (in cui la sequenza è lineare) sicuramente quella di un intreccio (il cui processo è caratterizzato di scambio di sequenze tra presente e passato, ed io ci metto anche proveniente dal futuro naturalmente) e quindi nel lasciar delirare il mio inconscio mi impongo sempre e comunque di racconare una storia, che abbia una fine e un inizio anche se dentro ci metto e rimetto tutte le sequenze acronologiche che mi piacciono.
La mia regola e limite per poter produrre una cosa intelliggibile è quindi raccontare una storia, il resto invece è surrealismo. Automatismo di immagini, suoni, colori, pathos e anche gioco di parole (beh, l'eredità della poesia è inevitabile, lo dicevo prima). Associo tutto in base al mio inconscio, quindi io in teoria "non copio". Io in teoria me ne frego di quello che hanno scritto gli altri e invece cerco, sondo nel mio immaginario cose che non ho visto, che non ho mai sentito, e che darei per certo non ha scritto nessuno. Naturalmente mi sbaglio, ma non è questo il punto. Lo stesso tema (il tema del doppio) che ha un certo motivo (quello dello specchio nel passato o quello del clone per uno scrittore di fantascienza) è visto dall'inconscio in modo personale, elaborato da vittorie e sconfitte vissute da me e da nessun altro e il risultato è per forza, anche se fossi la persona più scontata del mondo, "personale" e irripetibile. Quindi io creo, non copio.
Già. E quale differenza ci sarebbe tanto da un emulatore di Tiziano Sclavi che fa esattamente quello che fa uno scrittore del 900 citando e ricitando il già fatto, cinema, letteratura e tutto quanto? La differenza sta che io non voglio citare, io voglio superare i limiti della mia conoscenza per navigare nel mio mare interiore e tirare fuori... le tartarughe**.
A proposito di conoscenza, la mia è necessariamente limitata, so ben poco, vorrei sapere di più, vorrei divertirmi anch'io a citare e ricitare, ma per esempio io davanti ad un film mi annoio, dura troppo, anche se si tratta del migliore sulla piazza in quel momento. Con i libri e i fumetti va decisamente meglio, perchè li apro e chiudo quando e quanto mi pare. Un grosso vantaggio per la mia mente interconnessa su più stimoli esterni.
Quindi non posso citare e ricitare ma posso lasciarmi influenzare da ciò che riesco a leggere e vedere, influenzando la mia testa va per conto suo e crea. In modo automatico, come nella scrittura automatica, per associazioni, per, diciamola tutta, corrispondenze (il mio debito alla poesia francese è paurosamente palese!). Insomma ho trovato una via di fuga al modo corrente e ricorrente di scrivere. Non sarò mai Umberto Eco, d'accordo ma infondo me ne frego, ho troppe cose da dire e penso troppe cose per soffermarmi sulla mia ignoranza.
Ora, se dico Ulisse, tutti pensano all'eroe omerico e a James Joyce. Bene, io sarei l'opposto. Difficilmente farei una cosa del genere, ma come si fa a non parlare di un viaggiatore dello spazio che affronta mille ostacoli e difficoltà, senza mettere a rischio la vita dei suoi compagni di viaggio, e senza per associazione inconscia e involontaria descrivere già quello che c'è nell'Odissea? Ecco il punto. Forse il punto focale di tutta la questione. Cito e ricito anche se non voglio ( o come sarebbe più giusto dire "alludo") e il fatto che io me ne freghi non cambia proprio nulla. Cambia però il mio rapporto con quanto già scritto. Davvero lo getto via? Oppure come si suol dire, lo getto dalla porta per ritrovarmelo rientrare dalla finestra? Naturalmente, sì, ma non imponetemi di farlo volontariamente, non voglio e non ci riesco. Però c'è una grande verità, anche se smettessi di leggere, se smettessi di interconnettermi con il resto del mondo, meno leggo e più citerò lo stesso libro, nei dettagli in ogni sua cosa. Più libri leggerò più libri citerò involontariamente. Più mi chiudo agli stimoli esterni e più ne creerò di miei, o me ne ricorderò di più, trafugando l'inconscio dei suoi ricordi rimossi. Più mi apro al resto del mondo e più trafugherò sensazioni e manie degli altri, e come sempre senza farmene accorgere. Sono una ladra ma lo è ogni poeta, ed è la sua Musa a suggerire cosa rubare.
Ho appena scritto il mio personale Manifesto di un surrealismo del nuovo secolo.
* Per chi è a digiuno di poesia francese, non è Breton che s'inventa il Surrealismo dal nulla, ma i semini sono stati piantati ne I fiori del Male (Baudelaire) tanto per cambiare.
** E' presto per parlarne, ma come per le Farfalle Verdi, anche le Tartarughe sono state prodotte dal mio inconscio per associazioni personali, dopo averle viste su un cellulare di un'amica che ne possiede una marea e che ha tra l'altro sfatato certi luoghi comuni di questa specie animale. Da lì è partito tutto il resto. Ne riparliamo, se il destino vorrà, tra due anni.

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